Siwa (سيوة) è un'oasi del deserto libico, che appartiene all'Egitto e si trova a circa 300 chilometri dalla costa del Mar Mediterraneo, nel territorio del Governatorato di Matruh, quasi al confine con la Libia. Una strada la collega al capoluogo Marsa Matruh a nord, nonché all'oasi di Bahariya a est.
Situata in una profonda depressione, Qattara (18 m sotto il livello del mare), Siwa è molto ricca di acque e produce grandi quantità di datteri di ottima qualità. L'acqua di Siwa viene anche sfruttata da una impresa italo - egiziana che la imbottiglia e la commercializza in gran parte dell'Egitto.
La grande ricchezza di acque dell'oasi presenta però il rischio di allagare i terreni coltivati e raggiungere le ampie distese di sale che si trovano ai suoi margini, rendendo sterili i campi. Per questo è necessaria una costante opera di drenaggio delle acque e un assiduo controllo.
L'oasi di Siwa presenta la caratteristica di essere l’estremo punto orientale dove venga ancora parlata la lingua berbera (un tempo essa era diffusa in tutte le oasi del deserto orientale e giungeva fino al delta del Nilo). I suoi abitanti (circa 15.000) sono tutti berberofoni, e persino alcune tribù arabe nomadi che la frequentano (gli Awlad Ali) fanno uso del dialetto berbero locale (siwi) per dialogare con gli abitanti.
Nell'antichità Siwa era nota per il tempio dedicato al dio Sole (per gli Egizi Amon), che ospitava un celebre oracolo. Secondo Erodoto, la tribù libica che abitava l'oasi era quella degli Ammonii. Nel VI secolo a.C. l'imperatore persiano Cambise II, dopo avere sottomesso l'Egitto, cercò di conquistare l'oasi con un esercito che si perse nel deserto senza più fare ritorno. All'oracolo del dio Ammone (assimilato dai Greci a Zeus) si rivolse, tra gli altri, Alessandro Magno, ricevendone vaticini particolarmente favorevoli e la consacrazione a figlio della divinità. Per i grandi vincoli che univano il conquistatore Macedone all'oracolo, molti sostengono che egli abbia scelto di farsi seppellire proprio nell'oasi, e non ad Alessandria, come comunemente si ritiene.Oggi l'abitato di Siwa si stende ai piedi dell'antica cittadella (Shali), dall'architettura molto suggestiva, che però è costruita quasi tutta con materiali salini presi sul luogo, che con l'umidità tendono a sciogliersi, per cui ogni pioggia richiedeva lunghi restauri.
Una caratteristica della società tradizionale di Siwa era il divieto di sposarsi prima di una certa età imposto alla casta dei nullatenenti (zaggala), impiegati come braccianti nei lavori dei campi. Essi erano costretti a vivere segregati all'esterno dell'abitato, dove conducevano una vita promiscua, istituzionalizzando veri e propri "matrimoni omosessuali". Oggi queste pratiche sono quasi del tutto scomparse, e gli zaggala sono noti soprattutto per le loro canzoni, che allietano ogni festa e vengono anche registrate su cassetta e diffuse nell'oasi e altrove.
Dopo essere stata per tanti anni una località poco raggiungibile, anche per la vicinanza con la Libia, oggi Siwa si sta aprendo al turismo, con ottime prospettive, potendo offrire, oltre ai resti del tempio dell'oracolo e ad altri monumenti di epoca egizia, la sua vegetazione rigogliosa, numerose vasche di acqua dolce sorgiva a diverse temperature per i bagni, e anche sabbie particolarmente indicate per sabbiature curative.
Da qui é partita la nostra avventura.
Da Siwa, puntando diritti verso sud, si entra nel Gran Mare di Sabbia, un deserto che con i suoi larghi canaloni fra due file ininterrotte di dune si estende da Siwa appunto fino al confine col sudan e dalle oasi del sud egiziane fino all’oasi libica di Cufra. Una sosta nella zona della Silica Glass Area ci fa conoscere quella meraviglia della natura che è il vetro libico; chi si interessa di deserto sa di cosa si parla: è affascinante, sia per il suo colore giada o acquamarina, sia per il mistero della sua formazione non ancora definita sicuramente.
L'ipotesi più accreditata e che ca. 26 milioni di anni fa, un meteorite abbia fuso la sabbia con un passaggio così ravvicinato da creare tutte le condizioni necessarie. Infatti per produrre questo vetro composto al 98% di silice e con tracce di Badleite minerale non terrestre, c'è bisogno di 1.000 gradi di calore e 2.000 bar di pressione. La ricerca, curiosando tra i detriti che si trovano sul fondo dei canaloni tra i cordoni di dune può farci ammirare pezzo di questo vetro veramente belli e particolari. Normalmente sono di colore verde, ma non è difficile trovarne anche con sfumature ambra o gialle.
Oltre che questa particolarità della natura, il gran mare di sabbia, offre anche diversi paleosuoli ricchi di amigdale monofacciali e bifacciali, raschietti e lame di primitivi coltelli.
Frammento di vetro libico nella silica glass area
Gilf Kebir (جلف كبير), o Jilf al Kabir, è un altopiano che si trova nella parte sud-occidentale del deserto libico nella zona a confine fra Egitto-Libia-Sudan, la gran parte dell'altopiano si trova in territorio egiziano, e solo la parte più nord-occidentale è in territorio libico e sudanese. Questo altopiano di calcare e roccia arenaria di circa 7.700 chilometri (pari grossomodo all'estensione della Svizzera), ha un'altezza di 300 metri sopra il livello del deserto.
Nel Gilf Kebir si trova anche il cratere Kebira, alto 950 metri e formatosi oltre 50 milioni di anni fa in seguito alla caduta di un meteorite. L'intero cratere meteorico misura ca. 4.500 chilometri quadrati, 75 volte più del secondo cratere più grande del mondo.
Il monte Uweinat si trova nell'estremo sud dell'altopiano, ed è diviso tra Egitto, Libia e Sudan, il punto più alto è comunque al confine fra Libia e Sudan.
Il Gilf Kebir è conosciuto soprattutto per le sue incisioni rupestri preistoriche.
Karkur Talh e Karkur Murr sono le due maggiori valli orientali e contengono una grande concentrazione di arte rocciosa dell'intero Sahara.
Mogharet el Kantara, nella parte meridionale del Gilf Kebir, contiene solo un sito roccioso, una caverna scoperta da Shaw e soci nel 1936.
Wadi Soura infine, si trova nell'Egitto sud-occidentale, lungo il bordo occidentale dell'altopiano del Gilf Kebir. Non è un vero e proprio wadi, è solo una insenatura protetta tra un promontorio e un paio di propaggini staccate dei principali contrafforti dell'altopiano. I principali dipinti sono stati scoperti in due cavità da Laszlo Almásy nel mese di ottobre del 1933 nel corso della spedizione di Frobenius: il wadi era senza nome ed Almásy lo ha battezzato Soura, cioè delle pitture. Fra le numerose immagini, alcune pitture di persone sembrano nuotare e che suggeriscono l'esistenza di antichi fiumi e laghi. Qui troviamo alcune figure stilizzate, molto piccole, che ricordano alcuni nuotatori. La scena della scoperta della "caverrna dei nuotatori" è riprodotta nel film "Il paziente inglese". Ovviamente il wadi era senza nome ed Almásy lo ha battezzato Soura, cioè delle pitture. Fra le numerose immagini, alcune pitture di persone sembrano nuotare e che suggeriscono l'esistenza di antichi fiumi e laghi.
Nelle vicinanze di Wadi Soura ci sono numerosi altri siti di arte rupestre, tra cui la "giraffa roccia" scoperto dalla P.A. Clayton nel 1931 e alcuni siti di minore importanza scoperti da Almásy e Rhotert nel 1933 (riportato in Rhotert's Libysche felsbilder, 1952).
Ci sono però diversi siti piuttosto spettacolari sparsi nei vicini "wadi" che non vennero rilevati dai primi esploratori. Questi sono stati scoperti negli ultimi dieci anni da Giancarlo Negro, Yves Gauthier, Werner Lenz e altri.
Nel gennaio del 2003, la Zarzora Expedition e l’Italiano Iacopo Foggini annunciarono, unilateralmente, la scoperta di un grande sito preistorico nella parte occidentale del Gilf Kebir.
Cliccando qui potete trovare alcune note storiche e relative alle pitture rupestri di questa ed altre aree del Sahara.
Quelli che seguono sono alcuni passi tratti dal capitolo dedicato da Stefano Malatesta a questo straordinario e leggendario personaggio, nel suo libro "Il gran mare di sabbia" di cui potete leggere la recensione nel capitolo "La libreria".
...Aveva preso la rappresentanza di una fabbrica austriaca di automobili, la Steyr Automobilwerke e il 1926 lo vede riapparire in Africa, impegnato con il principe Ferdinando di Liechtenstein in un rally dal Sudan al Cairo e viceversa. Allora non esisteva nemmeno l'idea dell'automobile fuoristrada, indispensabile era lo stile, disinvolto, elegante, avventuroso, con cui si affrontavano queste imprese e i piloti con il casco di pelle e la sciarpa svolazzante diventavano degli eroi. Durante uno di questi rally riscoprì l'antica pista carovaniera, in arabo Darb al Arbain o pista dei Quaranta giorni, dove passavano le carovane di schiavi che dal Sudan in quaranta giorni arrivavano nella Nubia egiziana...
...Fu in questo periodo che Laslo decise di dedicarsi alla ricerca di Zerzura, un'oasi che nascondeva una città “bianca come una colomba”, che a sua volta nascondeva forzieri ricolmi di sfavillanti pietre preziose e di perle di incommensurabile valore e di altri oggetti qualificati con gli aggettivi in uso nella favolistica medio orientale...
...in un tempo in cui il deserto non era deserto, e al posto della sabbia si estendeva la savana, uomini dai corpi snelli e dalla capigliatura rovesciata dalla nuca verso la fronte dipingevano sulle rocce rosse figure di animali con una maestria e un senso del movimento ineguagliati, forse ci dovevano essere luoghi più magici di altri. Visitati da ardimentosi viaggiatori, erano poi scomparsi come miraggi, lasciando dietro di loro una scia di allettanti descrizioni ispirate al meraviglioso. Una di queste descrizioni diceva: «Sopra la porta c'è un uccello di pietra bianca. Guarda dentro il becco e, dopo che avrai trovato la chiave, apri la porta ed entra dentro la città. Troverai tesori immensi e il re e la regina che dormono dentro il castello. Non ti avvicinare a loro, ma prendi i tesori e vattene. La pace sia con te»...
...Anche lui partito sotto le vesti dell'avventuriero-gentiluomo, si era ritrovato perdutamente innamorato del deserto. Non delle ricchezze che celava, ma di tutti quei momenti in cui sentiva che non c'era altro luogo al mondo che potesse dargli emozioni simili - le colazioni all'alba intorno al fuoco mentre il violetto delle cime delle montagne si schiariva in un colore che cambiava continuamente; le orme lasciate sulla sabbia trenta o quarant'anni prima e rimaste come solidificate, la gioia nel ritrovare un pozzo che uno immaginava perduto, e la sera, le ombre che si allungavano sulle creste dorate delle dune, fino a quando si fermava l'auto in modo che il giorno dopo non fosse difficile ripartire e i bagagli erano sciolti dai legacci e posati sulla sabbia e un tavolino veniva subito montato davanti a una tenda e un bicchiere riempito con un liquido meritevole. Allora l'irrequietezza di Laslo si adagiava in una stanchezza benefica e in qualcosa di molto simile alla felicità. Questo era per lui la ricerca di Zerzura...
...Vorrei indicare qualcuno tra i protagonisti, oltre Almásy di questo ricercare. Ralph Alger Bagnold, una rara combinazione di studioso del deserto e delle dune, tecnico automobilistico e leader di commandos, era l'unico che potesse rivaleggiare con Laslo nella conoscenza del Deserto Libico. Nel 1932 fece un viaggio durato sessantatré giorni, percorrendo novemila chilometri in un'auto da lui stesso preparata: un girovagare senza fine che risultò di grande utilità ai militari inglesi per la gran massa d'informazioni raccolte e nello stesso tempo confermò che con un'auto alleggerita del superfluo e in parte anche del necessario, con pneumatici speciali e dopo avere sistemato lungo il percorso depositi di acqua e carburante, si potesse arrivare ovunque, anche in quei posti dove con i dromedari non era possibile andare. Molto diverso da Bagnold, che si potrebbe definire un professionista, era Sir Robert, ossia Sir Robert Clayton East-Clayton, figura classica già in via di sparizione dell'aristocratico inglese gran dilettante, che aveva portato in Egitto il suo biplano Moth e che viaggiava accompagnato dalla moglie, Lady Dorothy (sarebbe lei l'amante di Almásy, nel Paziente inglese). Esisteva poi un altro Clayton, Patrick Clayton, topografo dell'esercito britannico, e ci si riferiva a lui aggiungendo: «da non confondere con Sir Robert»...
...Il più titolato tra questi esploratori, il più ricco e quello che aveva i mezzi per trasformare le spedizioni in un trionfo, era l'ex erede al trono Kemal al Din Hussein, un ancora giovane signore con i baffi a manubrio, entrato nella gara con tre obiettivi: Zerzura, naturalmente; recuperare una bottiglia con messaggio lasciata nel deserto da Rohlfs quasi cinquant'anni prima; trovare una pista praticabile per Cufra. Su sua richiesta, la Citroën gli aveva preparato tre auto, un ibrido tra il cingolato e un trattore, e con questi pesanti mezzi anche lui esplorò il Deserto Libico durante gli anni Venti. È stato il principe Kemal a scoprire che a nord delle montagne di Auenat si estendeva un altopiano lungo duecento chilometri, di cui nessuno aveva sentito parlare, chiamato poi Gilf Kebir, ai confini con la Libia. E quando Kemal non viaggiava per il deserto, finanziava le spedizioni di qualcun altro: Almásy, ad esempio, considerato il migliore...
...In quel viaggio al Gilf Kebir, fatale per diverse ragioni, Lord Clayton aveva viaggiato in compagnia di una magnifica squadra composta dall'omonimo Clayton del Desert Survey, dal pilota di aerei e ufficiale della Raf H.G. Penderell, e dall'organizzatore della spedizione e anima del gruppo, Laslo von Almásy. Dopo il viaggio del principe Kemal l'ungherese si era convinto, seguendo i racconti dei cercatori di piste, che l'oasi perduta si trovava all'interno dell'altopiano, in uno dei tanti valloni che lo attraversavano. Ma era un'area immensa e non praticabile dalle automobili, con l'eccezione di alcuni passaggi e dunque l'unica possibilità di rintracciare l'oasi in tempi ragionevoli stava nel sorvolare l'area con un aeroplano. L'arrivo in Egitto del giovane Sir Robert, felice proprietario di un Havilland Gipsy Moth 1 chiamato Rupert, venne accolto con entusiasmo da Almásy, che aveva distrutto il suo piccolo aereo da ricognizione durante un viaggio in Turchia. Arrivati nella parte più a ovest del Gilf Kebir, i tre inglesi e l'ungherese sistemarono un campo base sotto le falaises e cominciarono a esplorare tutta la zona seguendo l'efficace metodo di mandare in avanscoperta l'aereo con Robert Clayton e Penderell, e di muoversi poi di conseguenza. Al primo giro di ricognizione si resero conto che l'area non presentava nulla che potesse interessare, con l'eccezione di una vallata a una sessantina di chilometri dall'accampamento e quindi si spostarono in quella direzione rischiando di mandare in pezzi le auto a ogni passo perché la strada era infernale. Ed ecco che, mentre si stavano riposando dalle fatiche e dal caldo, nel campo visivo dei loro occhi annebbiati comparvero due rondini decise a non farsi spaventare, che si erano messe a bere nel bicchiere colmo d'acqua di Almásy. La presenza di rondini in un posto come quello significava che non tutta l'area era simile a un posto come quello e se i quattro amici non avevano fatto in tempo a vedere da dove erano giunte, non si sarebbero persi il loro successivo piano di volo. L'attesa durò oltre un'ora, poi finalmente gli uccelli si alzarono in direzione nord-nordest. Il giorno dopo, all'alba, Almásy saltava sull'aereo con Sir Robert, seguendo la direzione indicata e dopo pochi minuti scorgeva due valli punteggiate da un certo numero di acacie spinose. Quale delle due era Zerzura...
...A quel punto bisognava solo riprendere la marcia e raggiungerle a piedi. Ma durante la ricognizione non era stato possibile individuare il passo che portava alle valli. Le riserve d acqua cominciavano a scarseggiare e il gruppo fu così costretto ad abbandonare le ricerche, spostandosi ancora più ad ovest, verso Cufra che era stata occupata dagli italiani solo un anno prima. Qui si fermarono il tempo per rifornirsi d'acqua e poi, a corto di carburante, Laslo e gli altri presero la strada del ritorno verso nordest. Ho cercato a lungo in molti libri di ricordi e testimonianze della Libia coloniale un riferimento qualsiasi sull'incontro nel deserto tra i militari italiani, descritti da Almásy come estremamente sospettosi, e l'elegante e avventuroso "party" di viaggiatori, ma non ho trovato la minima traccia. Sono convinto, comunque, che la sciocca decisione dei nostri comandi militari in Libia durante la seconda guerra mondiale di non accettare i servizi di Almásy, che si era offerto di collaborare come esperto del Deserto Libico, fu causata dall'episodio di Cufra. Quello che sembrava un dandy ungherese, che viaggiava in compagnia di soli inglesi e che parlava con l'accento delle public schools, non poteva che essere una spia di Churchill. E così gli italiani si privarono dell'aiuto prezioso di una persona che conosceva la Libia sudorientale molto meglio di loro...
...Ora che aveva individuato dall'alto le vallate di Zerzura, Almásy fremeva di ritornare al Gilf Kebir per cercare un passaggio, in modo da poterle raggiungere a piedi. Il fatto che questo luogo così sospirato e decantato non corrispondesse affatto alle descrizioni dei viaggiatori medievali non aveva raffreddato i suoi entusiasmi. Ci potevano essere spiegazioni ragionevoli per un simile cambiamento e l'Africa è stato il continente in cui sono avvenute negli ultimi ventimila anni la variazioni climatiche più vistose. L'ungherese doveva vedere quelle aspre vallate sotto la particolare luce di un amore impossibile o di un paradiso perduto, nello stesso modo con cui gli archeologi fantasticano di favolose città davanti alle modeste pietre che hanno portato alla luce. Ma i suoi due finanziatori per l'impresa, il principe Kemal e Sir Robert, non avevano più alcuna possibilità di aiutarlo nelle cose terrene e Laslo fu costretto ad aspettare fino all'inizio del 1933 prima di ripartire per il Deserto Libico. Nel frattempo il suo amico Patrick Clayton gli aveva giocato uno scherzo poco simpatico, perché si era già avviato da solo verso il Deserto Libico e l'oasi di Cufra, dopo aver convinto il Desert Survey non dell'importanza di Zerzura, ma della necessità di disegnare mappe nella zona. La spedizione del 1933, messa in piedi con molta fatica da Laslo, è stata anche la più importante di tutta la sua onorata carriera di descubridor. Questa volta c'era solo un inglese nel gruppo il pilota della Raf Penderell, mentre gli altri componenti erano due ungheresi, un tedesco e un austriaco. Almásy, che oramai i nomadi del deserto chiamavano Abu Ramla il “padre delle sabbie”, arrivò nel Gilf Kebir, facendolo sorvolare in aereo da Penderell. Poi scese più a sud verso il gebel Auenat, dove incontrò una di quelle guide con le quali è sempre riuscito a entrare favorevolmente in contatto. La guida si chiamava Ibrahim, era di stirpe Tebu, veniva da Cufra e rivelò a Laslo che accanto alle due oasi da lui avvistate nel Gilf Kebir, ne esisteva una terza. Le oasi o vallate o uadi avevano anche un nome: lo uadi Hamra, la vallata rossa ad est, lo uadi Abd el Malik al centro e lo uadi Talh ad ovest. Prima di ritornare al Gilf Kebir e di cercare la terza oasi, la spedizione si spinse di nuovo fino a Cufra scoprendo un passaggio tra il confine libico e quello egiziano sconosciuto fino ad allora, chiamato l'Aqaba Pass in onore di T.E. Lawrence, e di cui si servirà l'ungherese in una situazione straordinaria durante la seconda guerra mondiale...
...Tutti questi particolari che fanno da contorno alla vera storia d'amore di Almásy, che non è veramente quella per l'ufficiale tedesco ma per il deserto, sono stati raccontati da Laslo in un libro uscito in Germania alla vigilia della seconda guerra mondiale, intitolato Unbekannte Sahara (Sahara sconosciuto) e famoso tra i sahariani...
...Durante gli anni seguenti l'instancabile Laslo organizzò altre spedizioni, per studiare le pitture rupestri che aveva scoperto in una caverna vicino alla sorgente di una località chiamata Ain Dua e per setacciare lo uadi Abd el Malik, lungo più di ottanta chilometri. Questi viaggi, sempre molto avventurosi, erano stati utili, ma non avevano risolto il mistero di Zerzura, o il falso mistero, perché se è certo che queste vallate una volta furono abitate, come provano le pitture rupestri, quando il clima era differente e la savana sostituiva il deserto, sembra altrettanto certo che vennero poi abbandonate, già in tempi storici, alla sabbia e ai venti. Eppure due anni più tardi Laslo conobbe un piccolo trionfo, incontrando l'uomo che aveva dato il nome a una delle tre vallate, Abd el Malik. Apparteneva a una tribù originaria di Cufra, aveva settantacinque anni, era ancora robusto e lucido e narrava una storia complicata di rivalità tribali, di lotte per l'acqua e le pasture, di Tebu che conoscevano uno uadi quasi inaccessibile a quattro giornate di marcia da Cufra. Lui stesso, una volta, era riuscito a raggiungere questa valle del Gilf Kebir, spingendosi molto all'interno del ramo più meridionale per razziare i cammelli ai Tebu e aveva visto palme e acacie, praterie dove gli animali andavano a brucare e abbondanza d'acqua. E al ritorno dall'incursione, era stato ricompensato dal capo tribù e lo uadi aveva preso il suo nome, Abd el Malik, appunto. «In questa vallata», raccontò, «vivono piccole volpi, i fennec, mufloni e una quantità incredibile di uccelli bianchi e neri. Sono gli uccelli che hanno dato il vecchio nome alla vallata». «E qual era questo nome?» chiese Laslo. «Zerzura»...
Qui finiva questa interminabile, affascinante ricerca e Laslo sarebbe stato pronto per altre imprese. Ma stavano soffiando venti di guerra...
Long Range Desert Group (LRDG) è il nome di una formazione della British Army attiva durante la seconda guerra mondiale.
Agí molto nell'area tra il confine Libia/Egitto e proprio in queste zone é facile trovare resti di loro mezzi, taniche di benzina, frammenti della loro storia...
L'unità nacque in Egitto all'indomani della dichiarazione di guerra italiana (giugno 1940), su iniziativa del Maggiore Ralph A. Bagnold, coadiuvato dai capitani Pat Clayton e Bill Kennedy Shaw. Agiva alle dirette dipendenze del Generale Archibald Wavell, ed era specializzata in ricognizione a lungo raggio, raccolta di informazioni e navigazione nel deserto. In tali funzioni, si trovò spesso a confrontarsi con il suo equivalente italiano, le Compagnie Auto-avio Sahariane. L'LRDG fu sciolta alla fine della guerra.
Le pattuglie dell'LRDG erano composte da militari neozelandesi, rhodesiani e britannici, appositamente selezionati per la loro attitudine alle attività in ambienti difficili; in seguito vennero formate anche pattuglie con soldati indiani. Anche se la sua organizzazione operativa cambiò diverse volte nel corso del tempo, la sua struttura di base era costituita da diverse "Patrols", costituite da due ufficiali e 28-32 sottufficiali e soldati di truppa, su 11 veicoli (camion armati da deserto e jeep); in seguito, l'unità operativa di base divenne la "Half-Patrol", composta da un ufficiale e 15-20 sottufficiali e soldati, su 5-6 veicoli.
OPERAZIONI
Durante i combattimenti nel teatro di operazioni nordafricano, tra il 1940 ed il 1943, le pattuglie motorizzate dell'LRDG condussero numerose missioni di ricognizione a lungo raggio ed incursioni di profondità dietro le linee italo - tedesche.
Chiamato anche "Mosquito Army" da Wavell, mentre i soldati dello Special Air Service preferivano definirlo il "Libyan Desert Taxi Service", l'LRDG effettuò spesso operazioni di supporto alle incursioni dei commando del SAS, delle forze della Francia Libera e degli irregolari della Popski's Private Army, oltre che operazioni di inserzione dietro le linee nemiche di agenti britannici ed arabi sotto copertura. Una delle sue operazioni più celebri fu l'Operazione Hyacint, un attacco condotto contro la città di Barce ed il suo aeroporto, che ebbe luogo il 13 settembre 1942.
Operazione Hyacinth
L'attacco a Barce fu portato da due pattuglie dei LRDG (una britannica ed un'altra Neozelandese), per un totale di 50 soldati montati su 12 camion leggeri e 5 jeep. Si mossero da Faiyum il 2 settembre con l'appoggio di un'altra pattuglia di LRDG della Rhodesia, che nei pressi dell'obiettivo li avrebbe dovuti lasciare per rinforzare l'attacco contro Bengasi, per poi ritrovarsi dopo l'azione e ritirarsi insieme.
Il 12, come stabilito, giunsero a Barce dopo un viaggio di 1860 km nel deserto. A questo punto la pattuglia rhodesiana proseguì verso ovest per Bengasi, mentre britannici e neozelandesi si prepararono per l'attacco della notte successiva. Alla mezzanotte tra il 13 ed il 14, mentre la pattuglia inglese attaccava le baracche dei militari creando un diversivo, i neozelandesi si diressero verso l'aeroporto, colpendo con proiettili incendiari gli aerei parcheggiati e demolendo alcune installazioni con l'esplosivo. Mentre si ritiravano furono affrontati dai difensori, ma riuscirono a rompere il blocco combattendo e perdendo alcuni uomini e mezzi.
Ricongiuntisi con la pattuglia britannica, cominciarono la ritirata. Nelle ore successive furono attaccati da un reparto di Zaptié che ferì diversi LRDG, e distrusse parecchi loro veicoli. Alla fine sui due automezzi superstiti furono fatti salire i feriti più gravi, mentre gli altri proseguirono a piedi. In un'oasi distante 160 km si ritrovarono con la pattuglia proveniente da Bengasi, e grazie ai loro mezzi si ritirarono verso Kufra. La loro azione portò alla distruzione di 23 aerei. Gli attaccanti lamentarono 10 prigionieri (7 neozelandesi e 3 rhodesiani), tutti feriti. Dopo un anno 4 dei neozelandesi riuscirono ad evadere.
Operazione Snowdrop
L'attacco a Bengasi doveva essere portato da un commando del SAS forte di 200 uomini, e comandato dal tenente colonnello David Stirling. Questi, partendo dall'Oasi di Kufra e guidati da una pattuglia dei LRDG della Rhodesia, giunsero come previsto nei pressi di Bengasi dopo un viaggio di 965 km. Lì incontrarono un'altra pattuglia del LRDG proveniente da Barce che, fino allora, aveva appoggiato la squadra di attacco dell'Operazione Hyacinth.
Il piano prevedeva che i LRDG si sarebbero occupati della pista di atterraggio, mentre il SAS avrebbero dovuto distruggere le installazioni portuali appena fosse terminato il bombardamento della RAF. Ritardati dal terreno accidentato, gli operatori del LRDG rinunciarono alla missione e si nascosero per non essere avvistati dalla ricognizione aerea. Il SAS portò invece avanti il suo attacco, ma fu subito bloccato. Alle prime luci del giorno gli italo - tedeschi cominciarono a braccarli con gli aerei, così i britannici si divisero in piccoli gruppi per ritornare a Kufra, dove gli ultimi giunsero il 24 settembre. Gli attaccanti persero quasi la metà delle 72 tra jeep e camion. Dieci militari furono uccisi o risultarono dispersi, e numerosi furono anche i feriti.
Le due pattuglie dell'LRDG si riunirono agli attaccanti di Barce, e li aiutarono a rientrare in territorio amico.
Operazione Tulip
Le truppe inviate contro l'Oasi di Gialo era forte di circa 800 uomini, per lo più sudanesi, che avevano lasciato Kufra l'11 settembre guidati da una pattuglia del LRDG formata da militari della Nuova Zelanda. Il viaggio fu più difficoltoso del previsto, così le unità attaccarono l'obiettivo solo il 15, ma senza esito: la guarnigione formata da truppe italiane non si arrese e così il 20 giunse l'ordine dal Cairo di ritirarsi. Tra i sudanesi si lamentarono 6 morti o dispersi e 45 feriti, per la gran parte dovuti ad attacchi aerei. Il 19 un attacco aereo sorprese anche la pattuglia del LRDG, che accusarono 7 feriti e 3 dispersi.
L'incursione contro l'oasi di Gialo quindi riuscì solo a mantenere le truppe italiane bloccate nella guarnigione per alcuni giorni.