…Il mare di sabbia si estende davanti a me, sublime e imperturbabile.
Mai come ora sento tutto il rispetto per l’onnipotenza della creazione, che una simile vista ispira.
Certo non è un caso che i grandi profeti, quelli che hanno annunciato all’umanità la dottrina di un dio unico, abbiano iniziato la loro attività nel deserto…
Laszlo Almasy
… La giornata parte con un buon consiglio ricevuto da una guida locale, che ci dice di fare tante copie dei permessi di transito quanti sono i check-point lungo il percorso, cioè sette. Così facciamo e sarà davvero una buona idea perché guadagneremo un sacco di tempo ad ogni passaggio.
Partiamo da Siwa verso le otto e passato il primo controllo ci rendiamo subito conto che non sarà una passeggiata: la strada diviene pista, poi semplice traccia e di questa traccia ci aspettano più di 400 chilometri.
All’inizio va tutto bene, ma verso il km 80 inizia la sabbia; si procede in prima, seconda, facendo attenzione a non insabbiare la moto. Cado, e dato che le moto sono cariche di tutto ciò che ci serve, solo con l’aiuto del mio compagno riesco a rialzarla. Alle 11.30 raggiungiamo il terzo posto di controllo. Siamo già un po’ stanchi, fa caldo: i militari ci guardano un po’ così, ci offrono il tè e ci danno una mano a passare alcuni punti difficili, in uno dei quali mi pianto fino al mozzo. In questi momenti inizi a chiederti chi te lo ha fatto fare, ma le risposte vengono da sole quando dopo poco attraversiamo paesaggi di una bellezza e maestosità sconvolgenti, che ti lasciano senza fiato e ti fanno sentire orgoglioso di poter dire “io l’ho fatto, ci sono riuscito, ho visto queste cose con i miei occhi e ho attraversato questi posti da solo con la mia moto”.
Alle 14.30 raggiungiamo il quarto posto di controllo, dove ci offrono di nuovo il tè e un simpatico maggiore si intrattiene con noi fino a quando questo non è pronto. Ripartiti, la strada si fa sempre più brutta: tole ondulee e sabbia si alternano di continuo. E non siamo neanche a metà strada. Iniziamo a dubitare di raggiungere Bawiti entro sera e ne abbiamo la certezza quando il mio compagno al chilometro 238, buca. Proviamo con il “fast” ma il buco è troppo grosso; dobbiamo cambiare la camera d’aria. Iniziamo a lavorare e dopo poco, dal nulla, spunta un fuoristrada. Il conducente, un simpatico locale, ci da’ una mano a finire e un paio d’ore dopo possiamo ripartire. Scenari incredibili si alternano uno dopo l’altro e anche la strada sembra migliore. Non faccio tempo a pensarlo che la sabbia invade di nuovo la pista, sempre di più, per tratti sempre più lunghi. Mi insabbio una, due, tre volte: sono stanco, sudato, distrutto. La moto diventa sempre più pesante da alzare e diventa davvero difficoltoso andare avanti.
Il sole è ormai quasi sulla linea dell’orizzonte quando decidiamo di fermarci e passare la notte nel deserto. A Bawiti mancano ancora circa 160 chilometri, ma al prossimo controllo, secondo noi solo 30, per cui decidiamo, con la luce che ci rimane, di arrivare fino li. Ci godiamo il tramonto, cambiamo le lenti agli occhiali e via. Per fortuna, dopo poco la sabbia finisce e rimane solo la tole, che, seppure a tratti profonda, ci permette di proseguire e verso le 20 raggiungere check-point numero 5.
Qui ci accampiamo per la notte; i militari sono come al solito molto ospitali, ci invitano per l’immancabile tè, e quando scoprono che siamo italiani, ci bombardano di domande su Roberto Baggio e sul nostro campionato di calcio. Sono le undici passate quando ci infiliamo nei sacchi a pelo e una volta di stelle incredibile è sopra di noi. Non fa freddo, si sta bene; siamo distrutti, ma contenti. In fondo è quello che volevamo, il deserto, e lo abbiamo avuto, in tutte le sue forme: belle, brutte, poetiche, tragiche. Ripensiamo a dove siamo passati, cosa abbiamo visto, come siamo usciti dalle difficoltà e con questi pensieri ci addormentiamo …
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Questa è una pagina del diario del mio primo vero viaggio in Africa, svolto nella primavera del 2000 in moto. Da Bolzano alle oasi dell’Egitto, attraverso Tunisia e Libia, con rientro via nave da Israele. Era la prima volta che affrontavo il deserto, quello vero, con i miei mezzi e in autonomia, solo con la mia moto e il mio compagno di viaggio (per il resoconto completo cliccare qui).
Da allora tanta strada è stata fatta; sono tornato in nord Africa più volte, sia in moto, che più tardi in macchina. Da allora la mia passione non ha fatto che salire, aumentare, diventare quello che chiamano “mal d’africa”, che ora posso confermare, esistere davvero.
Da sempre, ogni mio viaggio è stato documentato con foto e diapositive che poi tornato a casa amavo e amo selezionare, commentare e presentare a chi in qualche modo può capire questa mia passione. Ecco il perché di queste pagine, di queste immagini, che ho voluto abbinare, a volte a commenti personali, altre a frammenti di scritti di viaggiatori d’Africa sia contemporanei che del passato.
Andrea Tioli